Leggere Lolita a Teheran
Il potere liberatorio della letteratura nell’Iran rivoluzionario.
Mercoledì 1 gennaio ore 18 e 21
Giovedì 2 e Venerdì 3 gennaio ore 21
Sabato 4 gennaio ore 18 e 21
Teheran, 1979: Azar Nafisi torna nel nativo Iran insieme al marito ingegnere Bijan dopo molti anni passati all’estero, piena di aspettative per il futuro del suo Paese a seguito della rivoluzione . La donna insegna letteratura inglese all’università e i suoi studenti, e soprattutto le sue studentesse, la considerano un modello di autonomia e indipendenza. Ma il 3 agosto 1979 l’ayatollah Khomeini instaura in Iran il Governo provvisorio islamico, imponendo la sharia come legge dello Stato: il che, per Azar, significa essere costretta a indossare l’hijab e vedere la lista di letture del suo corso censurata dalle autorità. I suoi studenti maschi la contestano, mentre le ragazze continuano ad appoggiarla. Un giorno, durante una protesta studentesca, due alunne vengono arrestate e sottoposte a torture, scomparendo dalla circolazione. Azar abbandona l’insegnamento universitario e decide di creare un circolo di lettura per donne, al quale si iscrivono sette delle sue ex alunne. Leggeranno insieme i testi anglosassoni proibiti dall’ayatollah, e la loro storia sarà divisa in parti intitolate a quei libri condannati.
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Leggere Lolita a Teheran è stato un best seller internazionale all’inizio degli anni Duemila e ha dettagliato per il mondo la privazione sistemica della libertà per le donne iraniane.
Azir Nafisi l’ha pubblicato negli Stati Uniti, dove era rifugiata dal 1997, e ora il regista israeliano Eran Riklis ne ha tratto un film che, pur animato dalle migliori intenzioni, compie diversi passi falsi. Il primo è l’estremo didascalismo nell’illustrare i vari passaggi della storia iraniana e della vicenda pubblica e privata di Nafisi, appoggiandosi a frasi esegetiche e sentenziose che rallentano e intralciano la narrazione.
Il secondo passo falso riguarda un apparente assunto di base, ovvero che tutto ciò che è occidentale sia progresso e modernità mentre tutto ciò che è mediorientale è retrogrado e reazionario: una lettura che non sembra rispecchiare nemmeno la scrittura di Nafisi, più attenta a distinguere l’Islam dalle derive del fanatismo religioso.
Per fortuna almeno nella descrizione dei personaggi maschili c’è meno manicheismo, e dunque Bijan emerge come un mussulmano di mente aperta (forse perché ha vissuto tanto tempo all’estero), e anche Bahri, uno dei custodi della scuola, si rivela molto meno integralista dei suoi superiori, e molto meno impermeabile alle lezioni di libertà della professoressa Nafisi.