Iddu – L’ultimo padrino
Liberamente ispirato a un periodo della vita di Matteo Messina Denaro.
Domenica 15 dicembre
ore 18 e 21
16-17-18 dicembre
ore 21
“Da qualche parte in Sicilia”, un padre insegna ai suoi tre figli a sgozzare una pecora: il maggiore non ne ha il coraggio, all’unica femmina non viene permesso, e il più piccolo si rassegna a compiere il gesto brutale, consapevole di non potersi sottrarre al proprio destino.
È in questo incipit che Fabio Grassadonia e Antonio Piazza enucleano la figura di Matteo Messina Denaro, figlio minore del boss Gaetano e capo di Cosa Nostra denominato (fra i tanti soprannomi) “u pupu” – che vuole anche dire il burattino. L’ex sindaco, assessore e consigliere comunale Catello Palumbo invece è soprannominato “il preside”, per sottolineare non solo un suo trascorso come dirigente scolastico, ma anche il suo livello culturale più elevato rispetto al contesto nel quale è cresciuto. Quando Palumbo esce dal carcere, sommerso dai debiti, i Servizi segreti gli fanno un’offerta che non potrà rifiutare: quella di stanare Messina Denaro dalla latitanza e renderne possibile la cattura, attraverso una corrispondenza a base di pizzini. Ma chi è il gatto e chi è il topo resterà da stabilire.
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Dopo Salvo e Sicilian Ghost Story i due registi e sceneggiatori tornano al grande schermo e alla terra natale di Grassadonia per raccontare una vicenda di tradimenti e destini segnati, nel solco della tradizione letteraria di Pirandello e Tomasi Di Lampedusa, come di Sciascia e Camilleri.
Purtroppo è proprio nell’eccessiva letterarietà della sceneggiatura firmata da Grassadonia e Piazza il limite di questo racconto (anche) kafkiano, perché mentre la corrispondenza fra Messina Denaro e Palumbo è appropriatamente di elevato livello intellettuale, in quanto cerca un’intesa proprio sulla comuna aspirazione alla cultura alta, gli scambi verbali fra gli altri personaggi, soprattutto in seno al corpo dei Servizi segreti, mancano di naturalezza e di spontaneità, e risultano spesso declamatori. Meglio sarebbe lasciare posto, anche nei dialoghi, a quella “incompiutezza” e a quella “invisibilità che rinsalda la presenza” che sono le pietre angolari di questa storia.
In particolare è problematico il personaggio dell’agente Rita Mancuso, interpretato con insolita legnosità da Daniela Marra, più funzionale al meccanismo del racconto che alla credibilità della persona, e sottoutilizzato anche Fausto Russo Alesi con improbabile accento regionale. Molto più convincenti, pur nel loro eccesso drammaturgico, le caratterizzazioni di Antonia Truppo nei panni di Stefania Messina Denaro e della bravissima Betti Pedrazzi in quelli di Elvira, la moglie di Palumbo, che pare uscita dal teatro eduardiano. Al centro della vicenda giganteggiano Toni Servillo (Palumbo) ed Elio Germano (Messina Denaro), l’uno in disperata ricerca di riscatto, l’altro stanco di guerra (di mafia) e sfiduciato sull’intera essenza della natura umana.